Mercoledì 5 maggio 2021

Crisi economica, un anno dopo lo scoppio della pandemia mancano all'appello 900mila occupati

a cura di: Dott. Gianmaria Vianova
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Crisi economica, un anno dopo lo scoppio della pandemia mancano all'appello 900mila occupati

Venerdì 30 aprile, alla vigilia della Festa dei lavoratori, l'Istat ha pubblicato i numeri di marzo del mercato del lavoro italiano. Il tema è lo stesso del mese precedente, ovvero una leggera ripresa in termini congiunturali e una caduta drammatica in termini tendenziali. Nel mese di marzo si registrano infatti 34mila occupati in più rispetto a febbraio, con una discesa dei disoccupati di 19mila unità e 40mila inattivi in meno. Hanno trainato l'incremento degli occupati le fasce più giovani della popolazione, +9mila nei 15-24 anni e +44mila nei 25-34 anni, un incremento che però ha caratteristiche particolari da non sottovalutare. Se è vero che a marzo gli occupati sono aumentati, è altrettanto vero che questi nuovi posti di lavoro sono in larga parte da imputare al tempo determinato (+63mila) e agli indipendenti (+10mila) mentre subisce un'ulteriore contrazione il numero dei dipendenti permanenti (-38mila). Una mutazione che rischia di diventare sempre più dominante in un clima di incertezza generalizzata. Come anticipato però, il leggero recupero di marzo non riesce a rendere più dolce il confronto con le ultime rilevazioni pre-Covid. Commenta l'Istat: "Rispetto a febbraio 2020, ultimo mese prima della pandemia, gli occupati sono quasi 900 mila in meno e il tasso di occupazione è più basso di 2 punti percentuali. Nello stesso periodo, l'occupazione è diminuita per tutti i gruppi di popolazione, ma il calo risulta più marcato tra i dipendenti a termine (-9,4%), gli autonomi (-6,6%) e i lavoratori più giovani (-6,5% tra gli under 35)". Numeri drammatici anche nel confronto con marzo 2020. Il numero degli occupati risulta essersi ridotto di 565mila unità, con un aumento dei disoccupati di 652mila unità e, tuttavia, una riduzione degli inattivi di 306mila unità (a marzo 2020 ci fu il lockdown, che costrinse la popolazione italiana a casa). Le fasce d'età più colpite per quanto riguarda il tasso di disoccupazione sono quelle dei più giovani. Nell'intervallo 15-24 anni il tasso di disoccupazione è salito al 33,0%, il 5,4% più in alto rispetto a marzo 2020. Tra i 25-34 anni invece l'aumento tendenziale è risultato essere del 4,9%, con una percentuale di disoccupati al 15,0%. Quest'ultima fascia è anche quella che indice maggiormente nel numero dei disoccupati sulla popolazione (il 10,7% sul totale con un aumento del 3,8% rispetto a marzo 2020).

All'interno del Documento di economia e finanza stilato dal Governo Draghi (quadro tendenziale) si prevede che nel 2021 il tasso di disoccupazione si attesterà al 9,9%, per poi scendere al 9,5% nel 2022, all'8,8% nel 2023 e all'8,2% nel 2024: "Tale percorso di graduale ripresa si protrae anche negli anni successivi, in cui una maggiore domanda di lavoro potrebbe attivarsi anche da parte degli altri settori. Il recupero dell'offerta di lavoro inizierà a partire dalla seconda metà del 2021; nel complesso quest'anno si attende quindi un aumento del tasso di disoccupazione (9,9 per cento), che si riduce progressivamente negli anni successivi arrivando ad attestarsi all'8,2 per cento a fine periodo", specifica il Def. "Le ipotesi su cui si basa il quadro tendenziale sono ovviamente soggette a notevoli rischi al ribasso, data l'incertezza che persiste sul futuro andamento della pandemia". In altre parole, lo shock del Covid, pesantissimo nonostante il blocco dei licenziamenti ancora in vigore, non pare destinato ad essere assorbito in tempi brevi. Una constatazione di grave portata, perché potrebbe portare ad una erosione della capacità produttiva italiana, con conseguente aumento del tasso di disoccupazione di lunga durata.

AUTORE:

Dott. Gianmaria Vianova

Gianmaria Vianova, classe 1996, si è laureato in economia e management presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza nel 2018. Attualmente è iscritto al corso di laurea magistrale in Economia...
e Finanza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Dal 2017 collabora con il quotidiano Libertà di Piacenza, occupandosi di temi economici e cronaca.
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    L’attribuzione del Trattamento di Fine Mandato (T.F.M.) quale compenso aggiuntivo da riconoscere agli amministratori di una società, presenta vantaggi importanti che si manifestano su due piani:

    - fiscale
    - gestionale/strategico.

    1. Vantaggi fiscali
    Il T.F.M. rappresenta un'importante leva di pianificazione fiscale per le società e un significativo beneficio per i suoi amministratori.
    Questo compenso, erogato al termine del rapporto di amministrazione, se correttamente strutturato, offre un duplice vantaggio fiscale: per l'azienda che lo accantona e per l'amministratore che lo percepisce.
    I benefici fiscali del T.F.M. si articolano principalmente in due ambiti:

    - la deducibilità del costo per competenza per la società, con conseguente riduzione dell'imponibile IRES ogni anno e
    - la tassazione separata per il percipiente.


    2. Vantaggi gestionali e strategici
    Tralasciando il caso – peraltro molto frequente nelle società di piccole dimensioni (cosiddette “familiari”) di attribuzione del TFM per aspetti principalmente fiscali, è utile considerare il TFM un potente strumento di gestione aziendale perché favorisce questi importanti fattori:

      • fidelizzazione e incentivazione: il TFM agisce come un incentivo a lungo termine. Sapendo di avere una somma importante che matura nel tempo, l'amministratore è più propenso a rimanere legato alla società e a lavorare per il suo successo duraturo. È un modo per premiare la lealtà e la permanenza.
      • attrazione di talenti: in fase di assunzione di un manager di alto profilo, offrire un pacchetto retributivo che include anche il TFM rende la posizione più attraente e competitiva rispetto a società che offrono solo un compenso fisso.
      • pianificazione finanziaria: accantonare il costo anno per anno permette una gestione finanziaria più ordinata e prudente. La società non si troverà a dover affrontare un esborso improvviso e imprevisto alla fine del mandato, poiché il costo è stato spalmato contabilmente su più esercizi, dando una rappresentazione più fedele della situazione patrimoniale.

    In conclusione, per la società il TFM non è semplicemente un costo aggiuntivo, ma un investimento strategico che, se correttamente pianificato, genera un importante risparmio fiscale immediato e contribuisce a creare un rapporto più solido e duraturo con il proprio management.

    Questo lavoro affronta i principali aspetti civilistici e fiscali e indica il modo corretto di operare, per permettere l’imputazione della quota annua di costo societario per competenza ed evitare che lo strumento utilizzato porti a contestazioni o riprese fiscali da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

    Fa parte di questo strumento pratico operativo (tool) il verbale di assemblea dei soci.

    a cura di: Studio Meli S.t.p. S.r.l.
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